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“Una generazione pianta gli alberi; un’altra si prende l’ombra."
(Proverbio cinese)

Ecco un altro caso di padre, geniale e potente, con due figli: uno obbediente, ma debole, ed uno scapestrato, violento e scavezzacollo, che porta alla rivolta, e quindi alla rovina, tutte le “filiali aziendali” che gli vengano affidate. Risultato? Tracollo rapidissimo e irreversibile. Parliamo della casata trevigiana da Camino, de “il buon Gherardo” che Dante loda, nel Purgatorio, per l'ospitalità ricevuta. Signore di Treviso dal 1283, fu anche capitano di Feltre e di Belluno, dopo la sanguinaria parentesi di Ezzelino da Romano, ed è ricordato come esempio di signoria illuminata, anche se esercitata con lucida determinazione: nel 1298 fece uccidere, ad esempio, il vescovo di Belluno Jacopo Casalio, per liberarne la sede che voleva destinare al figlio Guecellone. Proprio il passaggio generazionale fu l'errore più grave di Gherardo. Oltre che sull'amata Gaia, mandata in sposa ad un cugino per ricucire le tensioni tra i due rami dei Caminesi, Gherardo - che pure era a capo di un nutrito partito guelfo, assieme ai Collalto e ad altri importanti casati - puntò tutto sui due figli, Rizzardo e Guecellone. Il primo ambizioso, ma incerto; il secondo violento e inaffidabile. Eppure, come accade a molti padri, Gherardo non riuscì ad essere lucidamente razionale, confidando che l'esperienza sul campo avrebbe temprato le doti dei due figli. Accadde l'esatto contrario, invece. Gherardo era consapevole che l'unico in grado di guidare il delicato meccanismo politico-amministrativo dello stato caminese era Rizzardo; così lo designò a succedergli alla guida di Treviso, Belluno e Feltre, mentre al giovane Guecellone lasciò il governo dell'attuale Vittorio Veneto, incuneata tra i possedimenti del fratello, per evitare che facesse troppi danni. Ma la situazione precipitò con la morte di Gherardo, nel 1306. Rizzardo avviò subito una serie di fallimentari azioni politiche e militari che fecero, in breve, terra bruciata attorno a Treviso ed al suo casato. Dapprima, nel 1309, tentò di farsi nominare capitano generale del Friuli, arrivando a trattenere e ricattare con minacce, il Patriarca di Aquileia che cedette; tuttavia la carica non fu ratificata ed il da Camino stesso dovette fuggire, una mossa che precluse ogni ulteriore tentativo caminese verso Oriente. Nello scacchiere veneto, inoltre, Rizzardo si distinse poco dopo per il voltafaccia con cui nel 1311 tradì il secolare schieramento guelfo del suo casato, passando ai Ghibellini: ottenne il titolo di vicario imperiale, ma si inimicò Venezia, finendo per essere giudicato inaffidabile da entrambi i partiti e perdendo l'appoggio delle grandi famiglie trevigiane, che ne tramarono l'eliminazione. Venne ucciso mentre giocava a scacchi, nel 1312, da una congiura apparentemente tramata dal fratello Guecellone che, infatti, divenne subito signore di Treviso e non provò neppure a perseguire esecutori e mandanti della morte di Rizzardo. Ma Guecellone era ancora più inaffidabile e violento del fratello e, dopo pochi mesi di governo, fu scacciato da Treviso, ritirandosi per dieci anni a Belluno, dove si fece temere e odiare finché la città fu liberata da Cangrande della Scala, nel 1322. Guecellone si asserragliò nel suo ultimo castello, Serravalle, dove morì due anni dopo, nel 1324. La casata dei Caminesi si estinguerà con il di lui figlio, Rizzardo III, che morirà senza eredi nel 1335 ucciso in battaglia, guardacaso, dal Patriarca del Friuli. Come si sa, ci vogliono decenni – in questo caso secoli – per mettere insieme un patrimonio di famiglia straordinario... e proprio il padre più saggio e potente non trova la lucidità per capire che quei due figli avrebbero portato in pochi anni alla caduta della famiglia e alla perdita di tutto! L'amore paterno, per essere tale, in verità deve riuscire a giudicare le reali potenzialità, favorendo magari la vera vocazione dei propri figli. Decidere per loro, piazzandoli in ruoli che non saranno mai in grado di svolgere positivamente, non fa il bene né loro né della famiglia. Tanto meno dell'azienda. Certi errori di giudizio, irreversibili, si pagano a carissimo prezzo.

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